agosto 2002
IL VINCOLO A VITA NON C'E' PIU'
 
Prima o poi doveva succedere, "meglio tardi che mai" dirà qualcuno; "proprio ora che stavamo per scatenare una grande battaglia!" dirà qualcun altro; "adesso il calcio dilettantistico andrà in rovina" qualcuno sta sicuramente dicendo.
Insomma, il famigerato "vincolo a vita" non c'è più: calciatrici e società potranno trattare e trovare un accordo, oppure non trovarlo, e magari non ci saranno più quelle battaglie per il "cartellino" e quelle "rivolte di schiave" che hanno sempre afflitto le estati del calcio femminile (e del calcio dilettantistico in generale).
O forse no, qualche piccola rissa si farà ancora per qualche anno,  poi chissà.

Non credo che le società debbano temere questa novità che ne ridimensiona il potere, tutto quello che dovranno fare è conquistare la fiducia delle proprie tesserate durante l'anno e non soltanto con le promesse estive.
Se poi le "stelline" vorranno proprio andarsene verso improbabili "terre promesse" alla corte di mecenati venuti dal nulla, che se ne vadano pure: basterà cercare e trovare ragazze nuove, forse dotate di  minor tecnica ma sicuramente portatrici di maggior entusiasmo.

Si tratta di un cambiamento radicale, che deve modificare il nostro modo di progettare e di pensare, il nostro modo di concepire il calcio dilettantistico. Paradossalmente forse il dilettantismo ha oggi l'occasione per riguadagnare quei valori che sembravano perduti, fra presidenti che imitavano i magnati del professionismo e che si contendevano le migliori a suon di milioni (parlando in lire, ovviamente) e ragazze di periferia che chiedono piccoli o grandi stipendi anche a società prive di vere entrate.

Peccato che tale storica innovazione sia venuta dall'alto e non dal basso, ma la cosa importante è che i calciatori e le calciatrici da questa stagione sportiva sono un po' meno schiavi e un po' più persone.

Scrivo queste cose proprio nei giorni in cui mi capita di vivere un'esperienza curiosa (almeno per me), ovvero proprio mentre, mio malgrado, mi ritrovo negli improbabili panni del "dirigente di società str.. che non dà il cartellino". Ovviamente le cose non stanno proprio così, si tratta comunque di un'esperienza nuova che mi ha fatto riflettere su molte cose.

Una di queste cose sul quale sono stato costretto a mettere in discussione le mie convinzioni è l'obbligatorietà delle seconde squadre.
Le società di A, A2 e B devono schierare obbligatoriamente una seconda squadra. Lo spirito di tale imposizione è meritevole: le società di livello nazionale non devono soltanto andare a caccia di talenti, sparando all'impazzata promesse che 9 volte su 10 non manterranno, ma devono anche occuparsi di un settore giovanile e del reclutamento di nuove calciatrici.
Ma tale spirito è poi in qualche modo tradito dagli inevitabili compromessi (altrimenti molte più società non si iscriverebbero ai campionati di competenza): ed ecco le 5 fuori quota per il torneo under 20, ed ecco che molte società, anzichè creare un settore giovanile vanno a caccia di calciatrici già dentro l'ambiente, anche per formare in un modo o nell'altro questa benedetta under 20 (e non pagare la multa). Ed ecco che le squadre dei dintorni, più deboli, vengono doppiamente messe in difficoltà: i vicini stanno allestendo non una ma due squadre! Risultato: aumentano le difficoltà per le piccole società che vedono le proprie tesserate magicamente attratte da squadre di categoria superiore. Anche giocare nel torneo under 20 diventa una specie di occasione della vita!
In qualche modo l'obbligo del reclutamento viene di fatto delegato alle società minori, che però hanno meno mezzi e meno strutture. A questo punto mi chiedo: questa norma favorisce davvero lo sviluppo del movimento oppure finisce per esserne un freno?

Un'altra di queste cose è l'etica: dicevo sopra del mio improbile ruolo di "cattivo" in cui le strane circostanze della vita mi hanno intrappolato. Già prima della sostanziale abolizione del cosiddetto “vincolo a vita”,  la mia società teneva un comportamento che rispettasse le esigenze e le volontà della calciatrici, rifiutando atteggiamenti ricattatori, non abbassandosi a fare mercato dei tesseramenti (e quindi di persone).
Purtroppo, portare avanti questi valori, in un mondo come il calcio, non soltanto femminile, ormai abituato a certi schemi, certe pratiche e certi stili di vita non è affatto facile. Le tentazioni di adeguarci, anche solo per un senso distorto di “legittima difesa” sono tante e forti.
Il "nemico" usa pure armi sleali: articoli di giornale che annunciano cambi di maglia molto prima del tempo, strumentali amicizie coltivate durante l'anno, insistenti  e false voci di corridoio che annunciano l'inevitabile fine della nostra società... tutte cose che fanno perdere la pazienza e che rischiano di trascinarci in faide e ripicche senza senso e senza futuro.
Le stesse calciatrici a volte preferiscono essere soltanto “pedine”, se questo è il prezzo da pagare per una maglia da titolare. Che strana situazione! Gente che conosco da anni mi tratta con inedita diffidenza, come se tutto ad un tratto fosse sparito tutto quello che ho detto, tutto quello che ho fatto e tutto quello che ho scritto.
Non so ancora se vincerò la mia piccola battaglia, se la mia società resterà in vita mantenendo le sue caratteristiche nobili o morirà nel tentativo di mantenerle (o si trasformerà in uno zombie adeguandosi a stili meno nobili e più concreti).
Eppure sarò idealista, utopista, ma io ci credo, io credo che un altro calcio sia possibile e credo anche che riusciremo a dimostrarlo, in questa stagione o nella prossima.